Premio Speciale della Giuria – Prima Edizione – 2018

 

Gioia

di Roberto Bardoni

 

Il buon vecchio Giovanni soffriva di una brutta malattia. Era mattiniero. Fin da quando lavorava, tutti i giorni si alzava in tempo per dare il buongiorno all’alba. Che facesse caldo o freddo. Sempre. La sua malattia si era aggravata dopo la pensione, ma invece di riposare a casa, quel giorno aveva tolto ancora un’ora al suo sonno ed era uscito. E cammina, cammina, fra strade, ponti e negozi, si scoprì a litigare con una lastra di ghiaccio prepotente che decise di farlo cadere e rompergli una gamba. Per Giovanni, cresciuto all’aperto e girovago fin da bambino, starsene fermo a letto era peggio di una condanna ai lavori forzati. Perciò, senza nemmeno concedersi il tempo necessario per togliersi il gesso e fare la riabilitazione, il giorno dopo già era in giro per il mondo. Come a voler recuperare il tempo perso a scaldare il materasso e la poltrona. Giovanni decise persino di acquistare una bicicletta. Nulla di fenomenale, s’intende. A lui bastavano due pedali, due ruote e un manubrio. Lo si poteva vedere in sella già alle quattro e mezza del mattino, mentre salutava il panettiere, ad apriva la giornata col suo edicolante e guardava il mondo che pigramente usciva dal letto o stancamente vi faceva ritorno, dopo una notte di lavoro o di divertimento. E fu in una mattina come le altre che incontrò una ragazza. Aveva gli occhi di una bimba, ma il corpo ormai maturo di chi sa come gira il mondo, almeno per lei. La vide passeggiare sicura e un po’ stanca, sui suoi “trampoli” da lavoro notturno. Andava verso il nulla: non c’erano né case ne negozi in quella direzione. Curioso le si avvicinò.

-Buongiorno, mi scusi…-,

-Ciao bello! Mi spiace, ma per stanotte ho finito- rispose lei gentile ma con voce esausta

-No, guardi che ha sbagliato, non intendevo…-

-Sì, come no- sorrise lei ironica

– Dove stava andando? –

– A casa -.

– Non ci sono case da quella parte – obbiettò lui.

– Fra otto chilometri, sì. C’è casa mia – gli rispose lei.

Giovanni rimase a bocca aperta…tutta quella strada, a quell’ora…e con quel freddo.

-Vuole un passaggio?-

La ragazza lo guardò con un misto di diffidenza e stupore. Ma il vecchietto sembrava sincero e se anche avesse avuto strane intenzioni, lei aveva avuto a che fare con soggetti più pericolosi.

– E dove mi metti? Nella cesta?-

– Si sieda qui, sulla canna. Non è il massimo della comodità, ma è sempre meglio che farsi tutta quella strada a piedi-

La ragazza sorrise, un po’ divertita da quella proposta. Decise di provare questa strana esperienza e si fece portare dalle gambe sicure di quel vecchietto e dalle ruote della sua bicicletta. Durante il viaggio non parlarono, salvo che per le indicazioni che lei dovette dare, mentre si godeva il vento che soffiava piano il freddo su di loro. Arrivati a destinazione, lo ringraziò e lui la salutò gentilmente, poi se ne tornò per la sua strada. La mattina seguente la ragazza lo ritrovò ad aspettare nel medesimo luogo, pronto a offrirle di nuovo un passaggio. E così fu anche tutte le volte che seguirono. Col passare del tempo iniziarono a conoscersi. Durante il tragitto chiacchieravano molto. Giovanni non disse mai nulla di negativo, né tentò di giudicare in alcun modo la professione della ragazza rifilandole qualche predica bigotta. Era una cosa della quale lei gli era grata…bastavano tutti gli altri a umiliarla…a usarla solo per soddisfare voglie che le rispettive fidanzate o mogli non sapevano neanche che avessero. Il vecchio le raccontò del suo lavoro in fabbrica, della pensione, di sua moglie che se ne era andata anni prima per un brutto male e di suo figlio, che abitava da qualche parte in Germania e, fra lavoro, moglie e figli, non aveva mai tempo di venirlo a trovare ma lo chiamava tutti i giorni. Il figlio gli aveva anche regalato un cellulare ma lui non lo sapeva usare. I suoi nipoti avevano anche provato a iniziarlo agli sms, il Natale precedente. Ma quelle lettere erano troppo piccole per lui! E poi, aveva vissuto sessant’anni senza un “coso” trillante a far da orchestra nei pantaloni, perché doveva iniziare adesso? La ragazza gli raccontò, edulcorata, la sua storia.. una vita passata a incontrare uomini sbagliati, che l’avevano portata a guadagnarsi da vivere dando loro piacere, Ma niente papponi o roba simile. Lei lavorava per se stessa. La cosa era pericolosa, perché senza un protettore chiunque può farti qualsiasi cosa. E lei lo sapeva, aveva una piccola cicatrice sul braccio. Un’ustione. Il ricordo di un mezzo idiota cui piaceva fare giochetti con l’accendino. Il tipo si era ritrovato piegato in due per il calcio nei gioielli che lei gli aveva tirato prima di andarsene via di corsa. Da quella volta non era salita mai in macchina con facce troppo brutte e portava sempre con sé un taglierino, di quelli che in genere si usano per aprire i pacchi. Solo che i suoi pacchi sarebbero stati nelle mutande di chi avesse voluto fare il furbo. Una volta, mentre pedalava col suo carico sulla canna, Giovanni si rese conto che non sapeva ancora come lei si chiamasse. Gioia, gli rispose lei, pregandolo di non fare battute sul fatto che dava gioia agli uomini o cose così. Quelle battute per lei erano scadute già in seconda media. Lui sorrise comprensivo. A Gioia quel vecchietto piaceva, le ricordava suo padre. Era strano per lei trovarsi fra le sue braccia. Un abbraccio di uomo che non voleva nulla da lei. Nessuno, a parte suo padre, l’aveva mai abbracciata senza secondi fini. Nessuno, prima di questo strambo vecchietto. Un giorno, non appena arrivati a casa sua, lei gli chiese se voleva salire. Dopo tutti quei passaggi, un caffè se lo era anche meritato. Lui accettò, ma dovette ripiegare su un tè. Il caffè gli era stato vietato, ordini dell’uomo col camice bianco. La casa di Gioia era piccola ma confortevole. Una stanza, una cucina e un bagno. Alle pareti c’erano tantissime foto di lei da bambina con i suoi genitori e un altro ragazzino poco più grande di lei. Giovanni intuì che fosse suo fratello. Le foto si fermavano più o meno a lei appena ragazzina. Poi più nulla. Non c’era nemmeno una foto che la ritraesse da adulta.

-Come mai non ci sono tue foto? Tue foto recenti, intendo- chiese incuriosito.

-Perché non mi piacciono. Queste, invece, mi ricordano la parte bella della mia vita. Di quando avevo qualcuno che non fosse un cliente o un’altra come me -.

-Dove sono i tuoi?-

-Sono mancati entrambi. È rimasto mio fratello Arturo, il brutto muso lì con me. Ma ci siamo persi…-

-Come mai? Se posso chiedere-

-Perché adesso è il dottor Arturo, primario di neurochirurgia. Lui è l’altra faccia della medaglia. Doppia laurea, specialistica, dottorati, master…credo gli manchi solo il Nobel! Non pensare male, però. Non è lui che mi ha allontanato, sono io che me ne sono andata. Se fosse per lui, mi terrebbe sotto la sua ala protettrice. Il classico fratello maggiore-

-Perché tu non vuoi?-

-Guardami, pensi che me lo merito?-

Lui le sorrise

-Sì – disse -in fondo mi hai offerto il tè –

Questa strana amicizia proseguì a lungo. Ogni giorno, che facesse caldo o freddo, si dedicavano alla loro piccola gita in bicicletta parlando di tutto. Purtroppo la vita è in prestito e un giorno Giovanni dovette restituirla a chi gliela aveva donata. Quando Gioia non lo vide al solito posto, capì. Tornò a casa, si cambiò gli abiti da lavoro e ne indossò di più sobri, poi andò a da lui. Non era mai stata al suo indirizzo prima, ma il vecchio le aveva spiegato bene dov’era. I volti cupi che trovò non lasciarono spazio a dubbi. Vide l’edicolante nel portone, altri uomini e donne fra un pianerottolo e l’altro. La porta di casa era aperta, con i primi fiori sistemati nell’ingresso. E Giovanni era lì nel suo letto, che sorrideva nel suo riposo eterno. Accanto al letto c’era un bell’uomo con una donna, sicuramente il figlio, che parlava con altri. Scoprì che era mancato nel primo pomeriggio del giorno prima. In giro per la casa c’erano tante foto di Giovanni con la moglie, il figlio e i nipoti. La donna abituata ad aver a che fare con il nero nella vita senza battere ciglio, non aveva tradito emozioni, finché non vide la vecchia bicicletta, appoggiata in un angolo ed una lacrima iniziò ad appannargli la vista.

-Lei è Gioia- disse una voce dietro di lei

-Come sa…?- si stupì lei, trovandosi il bell’uomo davanti

-E’ il nome della bicicletta, mio padre me ne parlava sempre. “Tutti i giorni”, mi diceva, “faccio il mio giro con Gioia. È bella, forte e ha tanto da raccontare”. Probabilmente si riferiva al fatto che è usata. Diceva che, dalla morte di mia madre, lei è stata la prima vera amica che abbia avuto. La porterò a casa, lui non avrebbe voluto che restasse da sola qui…Buffo che fosse così legato a un oggetto! Lei conosceva mio padre?-

-Sì – rispose lei con un nodo alla gola – si può dire che ho avuto la gioia di conoscere lui e la sua gentilezza-

-Sono contento che mio padre abbia avuto tante persone care vicine- Poi se ne andò, scusandosi, richiamato dalla moglie per salutare qualcuno. Quella sera Gioia non andò a lavorare, né la sera seguente. Dopo i funerali ritornò a casa, prese il telefono e compose il numero. Dall’altra parte squillò. Al terzo squillo, una voce gentile di uomo le rispose e lei sorrise.

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