Fattore tempo
di Franscesca Ravioli
Basta, ho deciso: questo è l’ultimo incarico che ho accettato. Alla mia età non ce la faccio più a reggere il ritmo frenetico e stressante di questo lavoro.
Quarant’anni fa, quando giovanissimo ho cominciato la mia carriera, tutto era diverso o per meglio dire più gestibile, meno tecnologico, ed io sapevo di avere il controllo dell’operazione che svolgevo. Posso affermare, senza timore di peccare di presunzione, che per un buon decennio sono stato l’indiscusso artefice dall’inizio alla fine di ogni mio intervento. Io ero il burattinaio, gli altri dipendevano dal mio operato e guai a chi osava contraddirmi!
Pian piano le cose sono cambiate. Intendiamoci: non tutte le modifiche sono state negative e anzi devo ammettere che molte novità mi hanno decisamente agevolato; ma che fatica a star dietro a questo continuo stravolgimento! Spesso ho desiderato di poter semplicemente fermare il tempo, riavvolgerlo su sé stesso come fosse un gomitolo di lana, oppure accelerarlo alla velocità di una magnifica Mustang lanciata in una folle corsa.
Già, il tempo;mio perenne antagonista.
Mai che una mattina io abbia potuto prendermela comoda, consumando magari la tanto raccomandata prima colazione in santa pace, macché! Se il programma lavorativo della giornata prevedeva come inizio un orario diciamo intorno alle 10.00, potete star certi che dalle 8.00 in poi si sarebbe scatenato ogni sorta di evento avversoche, come minimo, avrebbe trasformato l’arrivare puntuale sul luogo dell’intervento in una delle sette fatiche di Ercole. C’è poco da ridere!
L’elenco degli imprevisti è tanto banale quanto irritante: cominciando dal taglio accidentale durante la rasatura, passando per la macchia di caffè sulla camicia pulita, continuando con l’auto che ha deciso di dare forfait, il taxi chiamato con urgenza che arriva dopo trenta minuti, la metropolitana in sciopero, i lavori in corso non segnalati, il tanto sudato pass d’accesso smagnetizzatosi, l’ascensore bloccato, il telefonino per avvisare scarico, e potrei continuare ma diventerei noioso.Questi piccoli inghippi tuttavia sono niente in confronto alle sfide del tempo meteorologico,cui tante volte sono stato chiamato a far fronte.
Non sto parlando dell’inopportuna nevicata ad aprile, o del forte temporale di marzo che naturalmente mandano in tilt il traffico cittadino; le vere bizze del tempo ho dovute subirle non nel nostro continente, preservato fino ad oggi (ma chissà ancora per quanto?) da catastrofici eventi climatici che in altre parti del modo sono invece all’ordine del giorno. Già, perché il mio lavoro mi ha portato molto spesso all’estero, e curriculum ed esperienza ne sono statinotevolmente incrementati,a vantaggio anche del compenso ricevuto di volta in volta.
È stato in quei paesi ora tropicali, poi asiatici, a volte africani ed altre polari, con un fuso orario talmente estremo da mandare in tilt anche il più navigato dei viaggiatori (non mi dilungherò a descrivervi le ore della mia vita sprecate nei più disparati aeroporti), che ho potuto sperimentare seriamente cosa significhi l’espressione “mal tempo”. Vi siete mai trovati a dover lavorare a 10 gradi sottozero in mezzo ad una tormenta di neve, nel pandemonio di un tifone, a mala pena riparati dai rischi di una tempesta di sabbia, immersi in un bagno di umidità che sfiora il 90%? Bè io sì e come dicevo, alla veneranda età di sessant’ anni, certi sforzi non li reggo più tanto facilmente, ormai fanno breccia nel mio fisico ed io, signori miei, non posso permettermi nemmeno lontanamente di essere malato! Non mi è concesso il benché minimo errore.
Nel mio lavoro anche un banale colpo di tosse, uno starnuto incontrollato, un tremore passeggero della mano, possono fare la differenza tra riuscita e disfatta ed in definitiva tra la vita e la morte. Già perché è questione di decimi di secondi:” etciù!” e il gioco è fatto, rien ne va plus!
Poi vaglielo a spiegare a chi attende fremente l’esito del tuo operato, che proprio sul più bello… «Mi scusino, è stato un errore involontario. Nel momento critico mi è scappato uno starnuto – sapete sono reduce da una trasferta al Polo Nord – e, bè non so come dirvelo…oh insomma ho mandato tutto a puttane! Ma non l’ho mica fatto apposta, lo giuro!» Ve l’immaginate la scena? E tutto per colpa di quella frazione di secondo di un “etciù”: gli occhi si chiudono involontariamente, le dita tremano di un non nulla e la frittata è fatta.
L’incredibile evoluzione della tecnologia nel mio mestiere ha però notevolmente affievolito le diverse problematiche dovute al fattore tempo. Quando avevo trent’ anni non mi sarei mai sognato di poter operare a distanza, di muovere un joystick qui e vederne scaturire il risultato addirittura in un altro continente. Se penso che una volta per appurare l’intero quadro del soggetto e tutti i fattori ambientali che lo avevano portato ad essere al centro delle mie attenzioni, erano necessarie settimane di attento monitoraggio! Mentre ora bastano un pc ed una cartella di dati ben aggiornata e voilà, magia, intere giornate di ricerche risparmiate.
Solo testardaggine ed orgoglio però mi hannoaiutato nell’impresa di barcamenarmi al meglio con tutti questi cambiamenti.
Tra le cose che il tempo ha modificato non poco nel mio mestiere, vi è sicuramente il genere di persone con le quali mi son trovato, volente o nolente, a dover collaborare. Una volta i colleghi potevo scegliermeli io, ed ovviamente puntavo su persone con esperienza diretta sul campo, sulle quali poter contare ad occhi chiusi in caso le cose si mettessero male; ora invece mi ritrovo a dover affrontare situazioni di emergenza fianco a fianco con sbarbatelli alle prime armi. Già perché il nostro ambiente ha visto negli ultimi decenni una vera e propria fuga all’estero dei migliori professionisti (posso confermare che in altri paesi siamo pagati profumatamente!) e così qua da noi sono rimasti i più inesperti, armati certodi coraggio da vendere, almeno in teoria prima che, in un decimo di secondo, il panico si impossessi di loro.
Ricordo ancora quell’intervento in zona di guerra in Algeria: ero affiancato da un rampollo spavaldo ed arrogante (me l’ero dovuto portar dietro perché raccomandatomi da persone altolocate), che a suo dire ne aveva già viste di cotte e di crude, salvo poi sbiancare ed essere lì lì per svenire quando quell’uomo corpulento aveva cominciato ad innaffiare la stanza con schizzi incontrollabili di sangue.
Ci vuol tempo, troppo tempo, per mettere assieme una squadra che funzioni davvero alla perfezione, e quando finalmente ci sei riuscito arriva puntuale (che tempismo di merda!) il potente di turno a rovinarti tutto spostando le pedine a suo piacimento. È talmente snervante!
Vogliamo parlare degli stravolgimenti legali dell’ultimo ventennio,che ti fanno perdere tempo prezioso? Quelli legati ad esempio agli spostamenti geografici. L’Italia sarà anche uno dei paesi con più scartoffie burocratiche al mondo, ma vi assicuro che è sempre meglio che trovarsi a dover superare una dogana in uno di quei posti dove la burocrazia è totalmente assente; si perché allora lì regna l’anarchia e a decidere cosa puoi o non puoi portare con te è l’impiegato di turno e non una legge scritta. Potete starne certi: se il tipo ha le emorroidi, oppure la sera prima ha litigato con la moglie (ed ovviamente è andato in bianco) non vi concederà di portare nemmeno uno spillo, altro che valigetta con l’attrezzatura necessaria al vostro impiego. Così il tempo torna ad essere il dittatore della vostra vita, perché a convincere la guardia di confine voi ci potreste mettere anche mezza giornata (in aggiunta molto probabilmente ad un congruo incentivo economico), ma per allora potrebbe ormai essere tutto inutile.
Ora però vi devo lasciare, perché si è fatto tardi (sai che novità!). Se stamane non sorgeranno intoppi, il traffico scorrerà fluido, il volo partirà in orario e la meteo sarà clemente, arriverò puntuale e premerò il grilletto per l’ultima volta.
Nella prossima vita cambio mestiere, questo è certo!
Magari farò il medico chirurgo. Il tempo del killer è terminato.