Racconto finalista – Seconda Edizione – 2019

Trama

di Arianna Biavati

 

Ho avuto l’intuizione una notte. Mi sono svegliato e nel buio ho pensato “saranno le quattro”. Ho acceso la luce e in effetti l’orologio segnava proprio le quattro.

L’episodio in sé non ha niente di eccezionale, di sapere l’ora senza guardare l’orologio mi era già capitato innumerevoli volte, ma quella notte qualcosa mi è suonato in modo diverso.

La mattinaho aperto gli occhi anticipando di pochi istanti il suono della sveglia, come mi accade spesso. Per la prima volta, però, è arrivata la consapevolezza: una parte del mio cervello percepisce il tempo e il suo scorrere.

La cosa in effetti non è strana, ho realizzato. Si sa bene che i sensi sono più dei tradizionali cinque. Gli squali percepiscono i campi elettrici, gli uccelli quelli magnetici. Probabilmente il cervello dell’uomo ha conservato, a livello residuale, facoltà simili, anche se ormai atrofizzate perché non indispensabili alla sopravvivenza.

Quindi, che cosa c’è di strano nel fatto che possediamo la facoltà di percepire il tempo? D’improvviso mi è sembrato quasi ovvio.

Il salto successivo invece è stato più difficile da accettare.

Mi sono reso conto della quantità di libri e film che parlano di viaggi nel tempo e ho iniziato a considerarli in modo differente: se non fossero solo invenzioni narrative fini a se stesse?

Se in tanti, in diverse parti del mondo, in diversi periodi, hanno sentito il bisogno di raccontare che il tempo può essere manipolato, che si può navigare, attraversare, allora forse qualcosa di vero potrebbe esserci.

Se una parte del cervello percepisce il tempo, allora forse un’altra parte ha la facoltà di intervenire sulla sua struttura e modificarlo. In fondo, siamo in grado sia di udire i suoni che di comporre musica.

Forse nelle narrazioni fantastiche è rimasta memoria di una capacità perduta ma reale.

Così mi ci sono messo d’impegno.

Certo, non è mica stato facile. Nessun manuale di istruzioni. Mi ci sono voluti anni di tentativi, sbagli, esercizi e allenamento, ma alla fine un giorno è successo: il tessuto del tempo si è sfilacciato tra le mie mani.

Ho aperto un varco. Piccolo. Ero molto orgoglioso di me stesso ma sono anche molto prudente. Già da parecchio avevo imparato a percepire l’intreccio dei fili del tempo, molto prima di riuscire ad afferrarli, e mi ero reso conto di trovarmi di fronte a un marasma ingovernabile.

Libri e film erano evidentemente estreme semplificazioni.

Ci avevo messo un pezzo, all’inizio, solo per controllare la nausea e le vertigini che mi prendevano a dare un’occhiata rapidissima al tessuto di minuscole porzioni di tempo.

Vortice, caos, rumore, cascate e immense ragnatele di fili luminosi, senza inizio e senza fine, con infinite diramazioni.

Avevo capito in un istante che l’idea di governare tutto questo era folle.

Così avevo abbandonato in fretta l’illusione di potere intervenire sui grandi eventi della storia, ben al di fuori della mia portata e della mia esperienza.

Forse potevo invece imparare a controllare il tessuto almeno per quanto riguardava la porzione di tempo ristretta attorno a me.

Così ho aperto un piccolo varco, sfilacciando solo il minimo indispensabile, e l’ho attraversato. Le prime volte mi sono accontentato di brevi visite nel mio passato, dando un’occhiata veloce e cercando di capire dove potevo intervenire per modificare in meglio la mia vita.

Non sono un tipo particolarmente vendicativo, per fortuna, per cui ho lasciato perdere la tentazione di togliere di mezzo chi mi aveva fatto del male. A dire il vero, se posso essere del tutto sincero, a trattenermi è stata spesso più la prudenza che il perdono; avevo paura di scatenare ingovernabili reazioni a catena, come le onde sollevate da un sasso gettato nell’acqua.

Avevo sempre avuto invece la fantasia di andare dal me stesso del passato e, con l’esperienza di quanto mi era successo, impedirgli di commettere gli sbagli che avevano condotto al me presente.

Bene, avete mai provato ad andare dal vostro voi passato e a convincerlo a fare qualche cosa di diverso da quanto ha intenzione di fare?

Io sì, e vi assicuro che non è così facile come sembra.

Con la scusa della somiglianza (“Ma guarda che coincidenza!”, “Saremo mica parenti?”, “Dicono che ognuno di noi abbia almeno cinque sosia al mondo”), ho abbordato in un bar il me stesso appena diventato adulto, in procinto di imbarcarsi in quella che io sapevo bene essere una devastante esperienza matrimoniale.

Non c’è stato niente da fare: avvinghiato all’illusione di un romantico roseo futuro senza difficoltà, mi ha liquidato come un insopportabile rompiscatole.

E, improvvisamente, nella mia mente è spuntato il ricordo di uno strano sconosciuto che anni prima, in un bar, aveva provato a sabotare le mie imminenti nozze.

Ho allora pensato che forse dovevo intervenire in una fase precedente della mia vita, quando ero ancora malleabile.

Così ho avuto l’ingenua pensata di andare a parlare con il me stesso adolescente, in un periodo in cui ricordavo di avere fatto malaugurate scelte. Be’, avevo completamente rimosso quanto possa essere sgradevole una discussione con un adolescente, specialmente un adolescente che un adulto cerca di distogliere da qualcosa che desidera con convinzione.

E, a onor del vero, non mi ero reso conto di essere stato un adolescente tanto litigioso e indisponente.

I tentativi più drammatici sono quelli che ho fatto con il me stesso bambino. Armato delle migliori intenzioni, con l’illusione di riuscire a modellare la mia personalità nel momento migliore, ho provato alcune volte a parlarmi. Non avevo assolutamente considerato come venga visto uno sconosciuto che si avvicini a un bambino in un parco o lo prenda da parte all’uscita dalla scuola.

Alla fine mi sono ritrovato arrestato e ho dovuto approfittare di un momento in cui ero da solo in cella per scivolare tra le maglie del tempo.

Nella mia memoria sono apparsi ricordi traumatici di un rapitore, urla di genitori, anni di psicoterapia.

Non voglio farla troppo tragica, in realtà con la pratica sono migliorato e sono riuscito ad apportare qualche modifica al mio passato, qua e là.

Il problema è che a ogni cambiamento ha corrisposto una nuova linea di ricordi che si è andata a sovrapporre a quella originaria.

Mi ero infatti chiesto, all’inizio, cosa mi sarebbe successo, alterando la mia linea temporale: sarei cambiato io e non avrei più ricordato quello che mi era successo in precedenza?

Invece no.

Tutti i me modificati mi si sovrapponevano all’interno del cervello; ricordavo da dove ero partito ma anche tutto quello che era successo in seguito a quanto avevo cambiato.

Conservavo tutte quelle memorie sovrapposte. Ho iniziato a confondermi, una volta tornato al presente. A volte mi sono ritrovato a non ricordarmi più in quale realtà stessi vivendo.

Sono quasi impazzito, ed è stato a quel punto che mi sono chiesto: e gli altri? Vuoi che prima di me non ci sia mai stato nessuno a cui è venuto in mente di provare?

Impossibile. Qualche residuo di questa esperienza è infatti rimasto negli archetipi, nella memoria collettiva che ha dato vita alle narrazioni fantastiche.

L’umanità sembra però oggetto di un’amnesia collettiva.

Allora ho capito, o almeno credo di avere capito.

Ho smesso immediatamente di alterare la trama degli eventi. Non mi sono schiarito del tutto la mente, ma va molto meglio.

Ricordo quello che ho fatto, quindi per ora nessuno è ancora intervenuto sul mio passato. Si vede che al momento si accontentano della mia decisione.

Perché, chiaramente, c’è chi ha fatto e fa dimenticare all’umanità questa capacità, e chi lo fa è saggio. Molto saggio.

Vivo una sola vita e ho deciso che va bene così.

Credo che vada meglio per tutti.

Certo, sono tentato. Oh, sì, saprei farlo ancora. Come andare in bicicletta, non si scorda mai del tutto. Sono un po’ arrugginito, ma ci riuscirei.

 

A volte apro un pertugio, allargo solo un po’ le maglie in un punto, do una sbirciatina dietro la cortina,  allungo un attimo la mano, poi la tiro indietro subito.

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