Racconto finalista – Seconda Edizione – 2019

Il mio tempo

di Giovanna Fidone

 

Il tempo non passa mai.

Lo penso seduta sulla panchina della stazione in attesa del treno per Milano. Il binario di fronte a me è ancora vuoto. Alle mie spalle è appena arrivato il treno per Brescia. Il vociare della gente, il rumore dei treni mi fanno compagnia. Il viaggio mi ha sempre affascinato.

Fisso le mie scarpe decolté di vernice. Certo che con questo vestitino pastello e i tacchi, sono completamente fuori luogo. Vestiti bene, mi raccomando. Marco ci tiene. Oggi viene inaugurato il nuovo ufficio. L’ennesimo suo successo. Quello che semini raccogli, è il suo motto. E lui nel lavoro ha seminato tanto. E’ diventato quello che sognava. Certo non puoi avere tutto, qualcosa durante la corsa al successo lo perdi. Probabilmente era giusto così, in fondo forse era quello che voleva. Inconsciamente.

Il tempo è irreversibile.

Quante cose sono cambiate in questi anni. E il ricordo vola lontano alle mie ballerine nere, a due ragazzi pieni di desideri che si incontrano in università e sognano insieme. Sono passati dieci anni. Io insegno lettere al Liceo Classico e Marco è diventato un manager. Non ci siamo sposati e io dopo un tumore all’utero non posso avere figli. Eppure la nostra vita ci piaceva così, c’era il nostro amore e ci bastava. Quando si è innamorati il mondo ci appartiene, tutto sembra possibile.

Prima lo seguivo sempre, ora lo segue la segretaria. Dice che mi annoierei. Invece i primi anni mi piaceva stare con lui. Mi sembrava che ogni suo obiettivo raggiunto fosse nostro.

Chissà cosa ci è successo..

Il tempo è relativo.

Non ho mai avuto il tempo di annoiarmi. Due tumori in cinque anni. Benigni ma devastanti.

Ricordo il viaggio in pullman il giorno dell’ultima operazione. Sola. E il risveglio nella camera asettica dell’ospedale. Sempre sola. Marco era  impegnato. Ad aprire nuove attività, a organizzare un evento, a correre dietro ad ogni richiesta di sua madre. Un compagno assente ma un figlio devoto lo devo ammettere. Tanto tu sei autonoma. No, non lo sono, ma si deve sopravvivere all’egoismo degli  altri e qualche volta anche al proprio. Ho imparato a fare tante cose da sola. Sono orgogliosa di me. Le sue assenze sono diventate mie presenze. Esserci quando è il momento, non quando hai un momento gli ho urlato forte durante una discussione. Non ha sentito, non ha capito o forse ormai era altrove.

Una sera mentre mi cambiavo ho fissato la mia immagine allo specchio. Le mie cicatrici sulla pancia, sul seno. Me le sento anche sul cuore. Adesso sto bene, ma è ora che sono più fragile. Ho imparato a convivere con la paura ma ogni tanto compare inquieto quel buco allo stomaco che mi toglie il respiro e mi ricorda che ho solo nascosto la polvere sotto il tappeto delle mie emozioni. Ho spostato il problema, certo non l’ho risolto. Ci vuole coraggio e io sono una codarda. Ma ho intrapreso troppe battaglie. Pensavo che vivere in coppia significasse avere un compagno di vita con cui condividere le gioie e i dolori. Sono solo una romantica. O una stupida. E’ da tanto tempo che conto solo su di me. Lui ormai è distante da me, dalla nostra vita, dal nostro futuro. O forse mi sono allontanata io. Ma mendicare amore e attenzione è troppo squallido persino per me  che fino a qualche anno fa avrei fatto qualsiasi cosa per lui. Per noi.

Il tempo è beffardo.

Sua madre è mancata un mese fa. Lui le è stato vicino fino alla fine con amore e devozione rare. E io l’ho odiato. Sono cattiva vero? Non si è mai pronti a perdere un genitore, neanche a novant’anni. Ho invidiato la cura con cui è stato vicino a sua madre, il tono di voce delicato, il tentativo di alleviarle il dolore. La parola  “cura” è il massimo livello d’amore. Perdersi senza filtri nell’altro. Come avrei voluto provarlo anche io, almeno una volta, una volta sola.

Continuo ad avere gravi emorragie. Devastanti. In bagno tampono il sangue, il dolore e la vergogna. Mentre Marco guarda la televisione o dorme. L’empatia è legata all’amore, al sentimento. Lui è capace di provare emozioni, il problema sono io, siamo noi. Eppure penso di meritarmi qualcosa di meglio dell’indifferenza. Voglio anche io perdermi nella “ cura” dell’altro.

Avevo solo trent’anni quando lui si è dimenticato di portarmi all’ospedale a fare la biopsia al seno. Le dimenticanze non sono casuali. Raccogli quello che semini giusto Marco? Il mio campo è arido..Pensavo che fosse giusto così, invece oggi il dubbio ha fatto capolinea nella mia vita. E lo benedico. Perché tutto parte da li.

Il tempo è circolare.

Mia madre è morta di un tumore a seno. Pensavo toccasse anche a me. E invece no. Non era ancora il mio momento. Ma ho deciso di farmi aiutare da uno psicologo che mi ha portato per mano verso la mia nuova esistenza. Fatta di domande e appunto di dubbi. Marco mi ama? Io lo amo? Mi amo? Quanta confusione in testa, nelle emozioni, nel cuore. Ma va bene. Mi sento finalmente viva.

Le scarpe con il tacco mi fanno male e questo dannato treno non arriva. Se faccio tardi chi lo sente. La forma prima di tutto. Il contenuto non è essenziale.

Se non arrivo in tempo qualcuno prenderà il mio posto. E lo penso persino sorridendo. Certo sarà con le sua segretaria. Ho il sospetto che tra loro ci sia qualcosa. Sono davvero simili, ambiziosi e mondani. Io sono così diversa. Prima ero più gelosa ora non più. Sono solo stanca. Stanca di sentirmi trasparente. Un bel soprammobile da sfoggiare quando si ha voglia. Il problema è che sono io a non avere più voglia. Ho voglia di leggerezza. Mi mancano le mie ballerine nere.

Siamo cambiati troppo, non si può più tornare indietro. Non ho più voglia di sentirmi sola. L’ho pensato anche durante l’ultima visita in ospedale mentre leggevo distratta una rivista. Mi aveva colpito un articolo di una mostra a Brescia che avevo voglia di visitare. Sicuramente a Marco non sarebbe interessata. Anche quando faccio dei cambiamenti in casa, per sentirmi viva, basta lo sguardo giudicante del mio compagno per spegnere il mio entusiasmo. Ma non mi fermo. Continuo a spostare i mobili, a comprare quadri, a cercare uno spazio nella mia vita troppo ordinata e fragile.

Il tempo è indeterminato.

Pensi che la tua vita stia andando in quella direzione, che sia giusto così e poi succede qualcosa. Che ti fa capire che se sei sopravvissuta a due tumori forse meriti di essere felice, di lottare per esserlo anche per tutte quelle donne che non sono state fortunate come te. Ci sono cose inevitabili, altre che bisogna scegliere. Con coraggio e incoscienza. A volte basta davvero poco. Come scegliere di andare a vedere una mostra a Brescia. E lasciare a qualcun altro il posto di soprammobile ad una inaugurazione di un ufficio a Milano. Si, a volte basta davvero poco.

Il tempo è scaduto.

Fisso il treno per Milano. E poi lentamente giro le spalle e salgo su quello per Brescia.

Questo è il mio treno.

Questo è il mio futuro.

Questo finalmente è il mio tempo.

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