Racconto finalista – Quinta Edizione – 2022

L’AMORE ETERNO

di Maurizio Gilardi

 

Jasper è una città canadese nella provincia chiamata Alberta. Un bel posto dove vivere, ma con un problema: i mezzi di trasporto. Io non uso l’aereo e quando lo dico, tutti mi fanno la stessa domanda “Hai paura di volare?” No, non ho paura di volare: ho paura di cadere che è tutta un’altra cosa. Non mi piace guidare e quindi rimane solo il treno. Mi presento: mi chiamo Beram Cohen, un cognome che dimostra le mie origini ebraiche e sono un violinista famoso. Detto questo, preciso che le città canadesi sono moderne e a misura d’uomo. Vancouver, per esempio, è la culla della cultura, ed è piena di teatri alcuni predisposti per accogliere le grandi orchestre. Quando hanno necessità di un solista, spesso mi chiamano ed io sono ben felice di esibirmi. Purtroppo non è una città facile da raggiungere perché da Jasper c’è un solo treno: partenza alle 15 e arrivo alle 11.00 del giorno successivo: 19 ore gran parte della quali passate in cuccetta.

Quel giovedì di maggio del 1943, con il treno già in movimento, cominciai a riflettere sulla mia vita piena di impegni che gestisco con Kate, la donna che amo e con la quale vivo. Di solito viaggiamo insieme ma oggi non è stato possibile perché da pochi giorni abitiamo in un rustico fuori città acquistato con molti sacrifici. Al compimento dei miei 58 anni, abbiamo deciso che il nostro futuro dovrà essere sereno e piacevole, lontano dalle metropoli e in armonia con la natura. Ancora una decina di spettacoli e saremo in grado di affrontare gli ultimi anni nell’assoluta tranquillità economica. Tutto piacevolmente sognato e pronto a essere attuato. Per questa volta, viste le tante cose da sistemare, Kate ha preferito il ruolo di massaia a quello di accompagnatrice. Mi mancherà.

Appena scenderò alla Stazione di Vancouver, avrò poco tempo per raggiungere il famoso teatro Orpheum per l’ultima prova fissata per le 21. Il teatro è molto bello e l’acustica davvero straordinaria. Un vero gioiello.

Detto questo, dopo essermi lavato e sbarbato, sono pronto per la cena e poi mi sistemerò nella mia cuccetta. Durante i viaggi così lunghi, mi rilasso e dormo profondamente e anche questa volta non farò eccezioni. Tutto normale, tutto come da consuetudine. Ma poi, ecco la prima sorpresa: nel cuore della notte, la sgradevole voce dello speaker ci informa che dobbiamo scendere. Pare si tratti di un guasto. Saremo accolti in una stazione secondaria della quale non capisco il nome e non l’ho mai sentito. Speriamo sia accogliente e che si tratti di poche decine di minuti. Ma non è così, lo capisco appena scendo dal treno in compagnia degli altri passeggeri. Qualcuno avanza l’ipotesi che ci abbiano fermati dopo aver ricevuto la notizia di una bomba collocata probabilmente tra i bagagli. Siamo tutti infastiditi e spaventati, ma non si può fare niente di diverso che ubbidire. E’ notte e fa freddo e non sappiamo dove ci troviamo, ma ecco la seconda sorpresa: non ho mai visto una stazione ferroviaria così grande e moderna. Altro che secondaria!

Una bella signora ci dice di seguirla parlando in tutte le lingue e ci accodiamo silenziosi e incuriositi. Fatti alcuni passi, precisa che tra poco avremmo riavuto le nostre borse, e mi chiede cosa contiene quella che stringo nelle mani:

– Il mio violino – dico – non lo lascio mai, nemmeno quando dormo. –

Lei sorride e aggiunge:

– Dovremo controllare il contenuto, mi spiace. E’ la prassi in simili casi. –

Quali casi? La sua affermazione rafforza il sospetto della bomba.  Quando arriviamo al centro della stazione, vedo molti altri gruppi confluire da ogni parte, tutti in fila e tutti con una guida locale. Davanti a noi cinque sale d’aspetto contraddistinte da lettere dell’alfabeto.

– I residenti in Quebec vadano nella sala A, quelli di Alberta nella B… – e così via: una lettera per ogni zona e uno generico per tutti i non canadesi.

Superato l’ingresso, ci troviamo in una stanza con tante porte davanti, una per ogni città con stemma e bandiera. Organizzazione perfetta. Sempre mantenendo la fila, valichiamo la soglia di Jasper e siamo soltanto in 10.  Al di là, c’è un’altra stanza piena di sedie e altre porte numerate. Un ambiente molto elegante e raffinato ma devo confessare che a quel punto, qualcuno di noi comincia a porsi qualche domanda perché sembriamo entrati in una matrioska senza capirne la ragione. Ancora qualche minuto e arriva un addetto anche lui molto gentile. Ci fa accomodare e dice di stare tranquilli che l’iter di questi casi, avrebbe richiesto ancora un po’ di tempo. Aggiunge che si tratta di una prassi necessaria per avere l’identikit completo di tutti noi. Sicuramente cercano chi ha messo la bomba. Questa l’idea condivisa da tutti. Poi l’incaricato estrae un registro e inizia a chiamarci in ordine alfabetico indicando a ognuno una direzione. Al mio turno, mi dice di andare nella stanza 4. Io mi alzo, mi avvicino e gli chiedo gentilmente se mi può spiegare cosa sta succedendo:

– Vogliamo conoscere la vostra cultura, educazione, abitudini e anche religione perché ultimamente abbiamo avuto parecchi problemi con alcuni gruppi di facinorosi e questo ci ha imposto rigide precauzioni. Mi dispiace ma facciamo tutto per la vostra sicurezza. Prego, stanza nr. 4, la stanno aspettando. – e poi prosegue con l’appello.

Entro e scambio quattro chiacchiere con un altro mio concittadino. Anche lui non è tranquillo, però ci sembra strano che non si sentano i tradizionali rumori delle stazioni: annunci, treni in arrivo, quelli in partenza… niente di tutto questo. Stiamo commentando abbastanza perplessi, quando una signora in divisa ci invita a rispettare il silenzio e avere un po’ di pazienza. Siamo nell’ennesima stanza, senza finestre e con molte porte colorate da colori tenui e moltissime sedie. Aspetto pochi minuti, fino a quando la voce di un altoparlante pronuncia il mio nome pregandomi di entrare nella stanza verde. Entro e questa volta sono solo. Ad attendermi un uomo di mezza età, molto cordiale e sorridente e alle sue spalle tantissime porte, tutte di legno scuro.

– Lei si chiama Beram Cohen ed è un violinista di fama mondiale, dico bene? –

Mi chiede aprendo un registro ed io annuisco ma capisco che si tratta di una domanda retorica perché conosce perfettamente la risposta:

– Qui c’è scritto quasi tutto… – prosegue – …devo completare la scheda con alcuni dettagli e poi sarà libero di andarsene, ma prima voglio aggiungere una cosa personale: sono un suo ammiratore ed è un onore conoscerla. –

Il suo viso bonario, la sua voce tranquilla e amichevole e il contenuto stesso della frase, mi tranquillizzano ma ho voglia di fargli molte domande.

Non mi lascia il tempo.

– Ora le chiederò alcune cose e la prego di rispondere in modo sincero. Mentire è controproducente… diciamo che si tratta di un’intervista e lei dovrebbe essere abituato. –

E poi comincia a chiedermi molte cose personali sul mio modo di vivere, sulla carriera, sul rapporto che ho con amici e parenti, e arriva persino a chiedere informazioni, anche piuttosto intime, sul mio legame con Kate. Rispondo tranquillo, affermando sempre la verità ma abbastanza infastidito perché non capisco la logica di questa procedura e avverto il disagio che comporta il non capire.

Una quindicina di minuti dopo, m’informa di aver terminato.

– Molto bene signor Cohen, il suo transito dipende principalmente dal mio responso e sono sicuro di aver fatto la scelta giusta. Starà bene. Quella è l’ultima porta che dovrà valicare; troverà un mio collega e poi sarà libero di fare ciò che vuole. La saluto, è stato un onore conoscerla. –

– Scusi, ma dov’è il mio bagaglio? –

– Tra poco le diranno dov’è sistemato. Non si preoccupi. Quella è la porta. –

Apro e mi trovo nella sala tipica di ogni stazione. Alla mia sinistra un pannello con alcune indicazioni, una panca di ferro tubolare e una finestra con una struttura di legno basculante che la chiude. Poche altre cose. Mi accomodo sulla panca e aspetto tranquillo. Però, dopo qualche minuto di attesa, divento impaziente e allora mi alzo e busso alla finestrella cercando di richiamare l’attenzione. Qualche secondo dopo, appare il viso di un uomo anziano, capelli bianchi e occhi azzurri. Mi guarda incuriosito:

– Che cosa vuole? –

– Niente. E’ stato Il suo collega a indirizzarmi qui. –

Lui sorride ma appare ancora più a disagio di me:

– Mi scusi ma non mi capita spesso di avere ospiti. Sono molto contento. Allora, mi dica cosa posso fare per lei? –

Esattamente l’unica domanda che proprio non mi aspetto. Non può fare niente per me se non spiegarmi la necessità di questa prassi assurda e noiosa, inoltre non sono più tanto disposto ad accettare ritardi perché ho voglia di uscire, incontrare gli altri musicisti, abbandonare questa situazione che non capisco e cominciare le prove o il concerto ne risentirà.

– Vorrei recuperare il mio bagaglio e raggiungere il teatro Orpheum… –

Lui mi guarda, sorride e dice:

– Il bagaglio lo ha già. E non le serve altro. –

– Ma che sta dicendo… – questa volta uso un tono seccato – …non ho niente con me… solo il violino! –

– Tutto il bagaglio che le serve ce l’ha dentro, mio caro signore. –

Non capisco cosa voglia dire e sto per irritarmi, ma lui mi anticipa:

– Lei è morto. Il suo treno è deragliato dopo uno spaventoso incidente proprio mentre stava dormendo. Non ci sono sopravvissuti e nessuno di voi ha avuto il tempo di accorgersi. Una bella morte, si fidi di me che me ne intendo. Le persone che ha incontrato, sono tutti i defunti di giovedì, violenza, suicidio, vecchiaia. Arrivano tutti qui da ogni parte del Canada e in ogni altro paese del mondo c’è una stazione come questa. La selezione serve a ricrearvi l’ambiente adatto secondo religione, cultura, esperienze e altro. Cerchiamo di farvi stare meglio possibile ricreando l’ambiente più consono.…  –

Quelle parole mi trafiggono tutti i pensieri e non riesco a crederci. Cerco di controbattere ma non ho argomenti e un po’ alla volta capisco che sta dicendo la verità e mi viene da piangere.

– Non faccia così, starà bene con noi. Abbiamo rispettato tutte le sue esigenze, i vari passaggi sono serviti a conoscerla meglio. Ora si trova nella stanza dedicata agli ‘eterni innamorati’, siete rimasti in pochi ed è per questo che non mi capita spesso di avere ospiti. –

– Non capisco… se si tratta di uno scherzo, non lo trovo divertente. Voglio parlare con mia moglie, la prego. Dove trovo un telefono? –

– Non ci sono telefoni e non è possibile mettersi in contatto con i viventi. Non è possibile neppure tornare nelle stanze precedenti e quando uscirà si troverà nell’ambiente che le abbiamo riservato per trascorrere la sua nuova esistenza. Però aspetti, forse posso aiutarla… – dice consultando un registro – …ecco qua: la signora Kate lascerà il suo corpo tra sette anni, quattro mesi, due giorni e cinque ore. Seguirà anche lei lo stesso iter e forse vi ritroverete, difficile saperlo. Ora devo salutarla. Su questo libretto ci sono tutte le regole comportamentali. Deve rispettarle. –

– Ma dove siamo… in una specie di Paradiso? –

– Può chiamarlo così, se le fa piacere. Ogni religione usa il proprio termine. Per noi si tratta solo della stazione alla fine di ogni tragitto e la vita non è altro che un viaggio. Molto breve, purtroppo. Da questo momento può fare quello che più desidera. Buongiorno, anzi, un’infinità di giorni buoni signor Cohen. –

Detto questo, mi consegna un libretto e richiude la finestrella.

Un’ora dopo entra un altro ‘eterno innamorato’ e la finestrella si riapre. Io sono ancora seduto sulla panca e lui mi nota subito:

– Che cosa fa ancora qua? –

– Ho capito la situazione. Lei mi ha detto che posso fare ciò che voglio, giusto? –

– Proprio così. –

– Allora aspetterò Kate sette anni, quattro mesi, due giorni e cinque ore… anzi quattro, perché una è già trascorsa. Non mi serve altro che il mio violino: se Kate passerà qui fuori, riconoscerà il mio stile e finalmente potremo tornare insieme. Questa l’unica cosa che desidero veramente. –

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