L’ALTALENA
di Saverio Maccagnani
Come sempre è necessario arrendersi alle sue suppliche.
Come sempre il padre non resiste ai suoi capricci.
Con lunghe corde legate con solidi nodi scorsoi ha appeso un’altalena al ramo più robusto della grande quercia sul colle ai limiti della sua proprietà, quasi sul ciglio della ripida pietraia che scivola fino al torrente delle trote.
É domenica mattina, poco dopo il sorgere del sole. I ragazzi dormono ancora. Quando la piccola Meri vedrà la sua altalena sarà molto felice.
Non si può resistere a lungo, si sa, alle preghiere di Meri-la-gatta, di Meri-la-civetta, della deliziosa piccola Meri, l’incantatrice dagli occhi verdi e dai capelli dorati, quando aggrappata alle gambe implora “ti prego!” e vuole farsi sollevare per un bacio.
Aveva preteso un’altalena e subito era stata accontentata.
Invece al fratello più grande tutti chiedono di essere l’ometto di casa.
Per questo oggi il padre gli ha affidato Meri, uno zainetto con una buona merenda e tante raccomandazioni.
La strada che porta alla collina si perde tra le piante di granoturco che crescono in un avvallamento della proprietà, ma poi sale allo scoperto fino alla quercia. Tra un po’ la testolina bionda di Meri scomparirà tra i fusti delle pannocchie, poi toccherà al fratello diventare invisibile. Ma si sa che lui la tiene per mano e, diritta al cielo come l’antenna di un periscopio in quel mare verde, si scorge sempre la canna da pesca che procede sicura. Ma fino a quando i due non usciranno di nuovo all’aperto, la madre si attarderà ansiosa sulla soglia di casa.
“Ha soltanto sei anni!” sospira.
Il padre sorride. “Ma sa sempre quello che vuole! È già una piccola donna” la rassicura.
Marte, a grandi balzi, tenta di schiodare la catena dal muro e uggiola infelice. Abbaia forte la sua delusione di prigioniero impotente. Vuole i ragazzi, guaisce tutto il suo dolore, si rigira inutilmente, prova ogni astuzia, inciampa, scalcia l’aria, quasi si strangola mentre tende il collo in avanti.
Già lontani, forse lo sentono i suoi compagni di giochi e lo salutano col braccio levato. Allora il padre pietoso slega la povera bestia quasi impazzita.
Con un galoppo serrato il cane brucia il distacco, ventre a terra e lingua nella polvere. Adesso Marte ha raggiunto i ragazzi, ma. tutte le feste, naturalmente, sono per lei, per la dolce adorabile Meri che ride travolta nell’erba. Al fratello solo una veloce annusata e un colpo di lingua; poi il resto è per Meri, lui è tutto per Meri, ogni gioia è per lei, per la sua dolce incantevole Meri.
Tenendosi abbracciati, il padre e la madre si scambiano compiaciuti sguardi d’intesa. Brillano al sole i capelli di Meri.
“Sono biondi come i tuoi, cara”. L’uomo fa una carezza alla moglie. “É già il tuo ritratto” dice della dolce incantevole Meri a cui mai, mai nessuno nella vita dovrebbe arrecare dolore.
Lontano, portato dal vento, ritorna felice l’abbaiare di Marte. Il cane precede i fratelli, poi ritorna a balzi, li invita alla gara.
“Avanti con me!”, sembra che dica. Li provoca.
Li aspetta, poi se ne fugge, ritorna di nuovo, scuote la testa, azzanna i vestiti di entrambi ragazzi, ringhia per gioco, riprende la corsa sfrenata ma si ferma nei pressi. Non vuole un vantaggio eccessivo, anzi, accucciato scodinzola, li provoca, li invoglia girandosi ad osservarli, fa lo sciancato, ogni tanto abbaia di gioia.
“Vedete?” latra “è così facile prendermi! Avanti!”
All’orizzonte, sul colle, legata a un ramo elevato, il più solido, si muove leggera al soffio del vento la nuova altalena.
“Ma che vuoi che succeda, mia cara? Non vanno molto lontano, ragiona. Le corde sono bene ritorte, la tavoletta è di faggio invecchiato e tu sai com’è giudiziosa la nostra piccola Meri. E poi c’è il fratello. E Marte non è andato con loro? Torneranno col sole ancora alto nel cielo, quando saranno stanchi del gioco. Non è tempo di serpi, la giornata promette sereno e con un po’ di attenzione scenderanno al torrente a pescare. Sono quasi a un tiro di voce. Possiamo raggiungerli in ogni momento. Questa sera di sicuro mangeremo le trote. Ho insegnato al ragazzo quel posto dove il nonno portava mio padre bambino”.
La piccola Meri afferra le funi, poi si aggrappa alla panca. Infine riesce a salire.
“Prima!” trionfa e attende la spinta iniziale.
Neppure allungando le punte dei piedi ce la fa a toccare il terreno.
Allora il fratello favorisce lo stacco.
“Diritte le gambe in avanti!” le insegna “e ripiegale indietro appena ritorni!”
Sulla cima del colle la quercia regala piacevoli ombre, ma il vento è cambiato perché dalla casa non si riesce ad intendere la gioia di Meri. Dalla finestra, però, tutto appare tranquillo. Marte ancora saltella e rischia la schiena, toreando all’ultimo istante la bimba che lo sfiora impennandosi. Guai a lui se sbagliasse una mossa!
Meri adesso si è fatta sicura.
“Guardami, guardami!” lei dice. “Più in alto!”. Pretende una spinta più forte.
Meri è un ago che ricuce il cielo alla terra. È una folaga bionda che migra quando il pendolo la getta più in alto al di là del suo grido. È un uccello che vola dove il vento ha il rumore della falce sul fieno. È un cormorano che ad occhi serrati in cerca di preda si tuffa negli abissi oceanici e riemerge con la preda nel becco.
Ma proprio quando Meri col volo radente di una rondine ha imparato a sfiorare le punte dell’erba e Marte, sollevandosi a balzi, le si affianca danzando nell’aria come fosse un delfino… “tocca a me!” le comanda il fratello.
Così ferma quel gioco afferrando al volo una corda e l’abbatte di colpo sul prato.
“Ora basta!” signoreggia il ragazzo che ha conquistato quel regno, i pugni ben stretti alle corde ed oscilla con sguardi di sfida a colpi di anca in avanti e all’indietro, come un cobra al suono di un flauto.
Il dolore di Meri, che la lingua amorosa di Marte non riesce a alleviare, non si ferma al ginocchio ferito. Adesso è sola, sulla collina, e capisce che è costretta a frenare i lamenti. Nessuno potrà consolarla o portarle il suo aiuto. Non la madre sollecita, non il padre adorato.
Certo è molto bravo il fratello. Fa fischiare le funi come nerbi di frusta e ad ogni colpo di reni lui mette alla prova la forza del ramo che potrebbe spezzarsi, mentre poi gli raddoppia ogni spinta.
Bizzarro fantino, il fratello, che anche se non batte una sella, sa tenere le redini e inarcare la schiena.
L’altalena, esaurita la spinta, per un po’ si trattiene in equilibrio nel cielo, poi riprende la corsa all’indietro fin sopra l’abisso che si apre alle spalle.
Oscilla il ragazzo senza punti di appoggio se non l’aria che avvolge il suo corpo e lo sostiene nel viaggio. Come un falco di mare dal volo perfetto, senza sforzo apparente si libra in una danza elegante.
“Tocca a me”, adesso lo implora la piccola.
“L’hai avuto il tuo turno. Non è per te questo gioco. È roba da maschi”. Il fratello non vuole più cedere il posto alla piccola Meri.
È così tanto sfrontato da sentirsi padrone dell’aria, perché ogni passaggio lo avvicina di più al bagliore del sole.
Ormai con la vista ha varcato il declivio dei colli.
“Ma tu cosa vedi?” chiede Meri.
È bello fingere di volare verso la casa lontana per poi ritornare sotto la quercia e di nuovo vedere ancora più in là le altre case e i campi e perfino la pianura annebbiata dai fumi.
“Ma tu cosa vedi?” Meri urla ad ogni passaggio.
“Altre colline… le nubi… le case… la terra… la chioma dell’albero e poi di nuovo l’azzurro del cielo…” risponde il ragazzo appena la incrocia ad ogni discesa.
“E dietro di te cosa vedi?”
“Il sentiero di sassi, la spiaggetta e le curve del fiume”.
“E ancora più in là, laggiù dove mai siamo stati?”
“La chiusa e il laghetto”.
“E ancora?”
Fischia sul colle, sotto la quercia frondosa, l’altalena dalle lunghe funi ritorte e poco per volta si solleva implacabile, perché Meri pretende risposte.
“E adesso che vedi? Ma non sai salire più in alto?”
E se ormai l’altalena ad ogni passaggio assomiglia a una fionda, chi se non il suo passeggero dovrà farsi proiettile?
Il muro d’aria mozza il fiato al ragazzo. Non è facile spiegarsi andando veloci. Eppure bisogna farlo per Meri.
“Sali più in alto!” comanda la piccola. “Continua a salire! Più in alto! Più su! Hai forse paura?”
Così lo provoca Meri-la-Gatta.
“Hai forse paura?” lo schernisce ogni volta Meri-la-Strega.
“Bella fatica, anch’io sono arrivata fin lì! Raggiungi invece quel ramo lassù, dove spunta la ghianda più grossa. Aumenta la spinta! La voglio!”
Ma la ghianda più grossa non basta. La gara non è ancora finita.
“Tu sei grande, sei bravo, hai coraggio! Puoi salire ancora più in alto! Mi senti? Sali ancora, puoi farlo, e dimmi che cosa riesci a scoprire!”
Batte il suo tempo quel pendolo che trascina il ragazzo con sé. E fischia un singhiozzo ad ogni passaggio.
Molto al largo è andato il fratello, ma ancora procede a gagliarde bracciate e per ora regge bene la sfida. Sfonda l’aria col petto proteso, perché l’incantevole Meri, la tenera Meri dagli occhi smeraldo, Meri-la-Gatta … “ancora, ancora, più in alto!”… conosca il mistero al di là della linea dei monti, al di là della volta del cielo.
E agli ordini di Meri-la-Strega continua a salire l’altalena del colle con il suo prigioniero, vicinissimo ormai al punto di non poter ritornare, in attesa che si compia inevitabile la capriola più atroce.
Ma intanto sibilano sinistre le funi nell’aria come le sartie di un veliero in un mare in tempesta. L’altalena aumenta i rintocchi e prende sempre più forza dal ramo che ad ogni passaggio si tende come un arco incoccato.
Così tra poco si compirà il fato di quella tenera vita. La preda incolpevole è già appesa alla pianta come un condannato al capestro.
Nel grande silenzio che cala tra le nubi e la terra l’ostaggio si avvia docile all’ultima sorte. Nessuno lo potrà riscattare.
“Puoi salire più in alto! Mi senti?”
Ma la risposta che attende Meri-la-Strega si spegne in un ultimo grido d’orrore.
Perché il ragazzo, saporito boccone, è già stato servito all’eterno banchetto dell’ingorda Sovrana, la Morte, che governa l’abisso che gli si è aperto alle spalle.
Dalla casa lontana un urlo di donna dilania il bel pomeriggio.
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